FotografiaFestival Roma VII edizione
Il nostro occhio deve costantemente misurare, valutare. Noi modifichiamo le prospettive con una leggera flessione delle ginocchia, provochiamo coincidenze di linee con il semplice spostamento della testa di una frazione di millimetro, ma tutto ciò può farsi solo alla velocità di un riflesso… (Henri Cartier-Bresson)
Intorno al 1840, quando è nata, la fotografia si faceva di interi minuti da passare immobili di fronte all‟obiettivo. Le immagini restituivano agli occhi dei contemporanei l‟illusione di trovarsi di fronte alla “cosa stessa”. Il particolare più infinitesimale sembrava disegnarsi sulla superficie delle prime fotografie con stupefacente esattezza. Una vera e propria passione per i dettagli aveva così accompagnato questi primi anni. Ci si componeva e si stava immobili nel tentativo di fissare la propria somiglianza sul sottile supporto sensibile alla luce. Affine alle fotografie delle origini, il digitale di Sveva Bellucci “riproduce” con precisione i pori della pelle e i granelli di sabbia. Allo stesso tempo, i dettagli e la loro posa -siano essi colori o cristalli d‟acqua- possono -attraverso uno scorcio inatteso o un colore saturo oltremisura- mostrare l‟altra faccia della fotografia: la sua capacità a metterci sotto gli occhi l‟aspetto inusuale di ciò che ci circonda. Simili a quelle nature morte che proprio per la loro esattezza diventano inquietanti e irreali, le superfici degli oggetti fotografati ci vengono incontro, avvicinandoci pericolosamente a ciò che non siamo abituati a guardare: alla coincidenza del corpo-bocca di un pesce con la gamba del suo pescatore, al rigonfiamento di una camicia senza corpo, alla superficie infarinata di un bancone o all‟acqua diventata molecola che si apre sulle pieghe del nuotatore. Il mosaico di polaroid fuori formato di questi scatti „marini‟ si fa dei dettagli e della loro forza; sono, prima di tutto, essi stessi particolari, inquadrature strette che isolano il gesto dal corpo che lo muove. Dentro la cornice, dettagli nei dettagli si fanno strada per spaesare ulteriormente lo sguardo, fanno si che questi gesti quotidiani mostrino la loro faccia inedita fino a diventare, in alcune fotografie, parte di quegli stessi oggetti: una mano si confonde con la rete per la cattura delle murene e ne è in qualche modo contaminata; il rilievo di mani ossute sembra essere l‟ornamento della trama larga dell‟uncinetto che intessono; mentre fili da pesca e gamberi hanno la stessa nettezza dei fogli di giornale che li conservano. Il dettaglio ci avvicina alla trama delle cose, all‟azzurro di una maglietta di ciniglia o all‟untuosa patina biancastra di pesci da pulire. Sono dettagli fatti di tempo. È il tempo che si mette in scena: non più il tempo dilatato della posa, ma uno strano congelamento che realizza il paradosso di fotografie che sono “rubate” e “posate” a un tempo. Queste combinano l‟artificio con il documento, l‟occasione con la messa in scena, ripetuti per l‟occhio del fotografo o scoperti da un obiettivo discreto. Sono fotografie fatte di geometrie, di quelle “coincidenze di linee” che l‟occhio del fotografo riconosce nelle dita che legano un costume o nella corda annodata all‟attracco. Realizzate con un teleobiettivo, colgono, da lontano, la compostezza di gesti che sembrano invece essersi messi in posa per lo scatto. Sono foto che a prima vista escludono il movimento, ghiacciandolo, quasi a mettere in risalto la bidimensionalità del gesto e del suo disegno, ma allo stesso tempo lasciano che, dall‟eccesso di un colore o dalle pieghe di un tessuto, trapeli la vita di cui sono fatte. Il movimento è in agguato, nelle dita di un piede che ne evidenziano lo sforzo, nell‟immobilità delle lenticchie prese nell‟istante di arresto del setaccio. Trapela dal rigonfiamento di un salto in barca, in una corda appena arrotolata, nei dettagli mossi del cotone intessuto o della mano che arrotola l‟impasto. Sveva Bellucci si è data una regola e le inquadrature sono quasi interamente scelte al momento dello scatto, niente tagli o ritocchi, ma il riconoscimento del “momento decisivo” – come scriveva Cartier-Bresson- e dello spazio di cui questo momento si fa. Gli unici tagli sono quelli per adattare il formato alla cornice di una polaroid. Anche qui Sveva Bellucci ha giocato con il suo mezzo: l‟allusione alla polaroid, alla foto souvenir e amatoriale, scattata e stampata velocemente, mette l‟accento su quell‟istante fatto di un “riflesso”, di un‟inclinazione millimetrica della testa, con cui il fotografo scopre – e ci mette davanti agli occhi – l‟apparire di un gesto e la sua imprevedibile messa in scena.
Maddalena Parise
- Vedi la mostra: Il dettaglio di un gesto